Παρασκευή 22 Φεβρουαρίου 2013

Ο ΠΑΖΟΛΙΝΙ ΓΙΑ ΤΗ ΓΛΩΣΣΑ




PIER PAOLO PASOLINI 


NUOVE QUESTIONI LINGUISTICHE



L’italiano è una lingua che ha una doppia identità: strumentale e letteraria.
Infatti non esiste una vera e propria lingua nazionale.
L’utente medio di questa lingua, il borghese o piccolo borghese italiano, usa entrambe le tipologie, quando parla e quando scrive.
L’italiano è una lingua non-nazionale, che copre un corpo storico-sociale frammentato, sia in senso diacronico che orizzontale (le differenze regionali). Su questo si proietta la lingua scritta insegnata a scuola, che deriva da quella letteraria, e quindi è artificiale, pseudo-nazionale.
La lingua italiana è la lingua della borghesia nazionale, che per ragioni storiche non si è mai identificata con la nazione, ma è rimasta classe sociale.
Il rapporto degli scrittori con l’italiano medio è caratterizzato da due possibilità:
Un adeguamento e una congenialità dello scrittore, che non produce valore.
Un’impossibilità o infrequentabilità, che genera lo scarto di valore.

Se collochiamo l’italiano medio su una linea, troviamo che su questa linea si colloca la letteratura puramente scolastico-accademica (ma anche la retorica fascista-clericale, l’intrattenimento e l’evasione). Mentre le opere di valore stanno comunque sopra o sotto questa linea:
Sulla linea inferiore troviamo i dialettali e i naturalisti o veristi di origine verghiana
Sulla linea superiore troviamo quasi tutti i maggiori scrittori del novecento italiano

Al livello più alto stanno gli ermetici, che però nella loro operazione di rifiuto del linguaggio medio operano un recupero classicista che, lungi dall’essere rivoluzionario, è addirittura reazionario.
Ad un livello inferiore vi sono opere “iperscritte” in cui il mito non è quello della poesia, ma quello della vita storica, portata agli estremi di una grande tensione letteraria (Vittorini).
Scendendo ancora si incontra il livello dell’ermetismo casalingo e del dannunzianesimo ironizzato (Cardarelli).
Ad un livello ancora più vicino alla media si trovano gli scrittori “nostalgici” alla Cassola e Bassani, molto vicini ideologicamente alla borghesia.
Sotto ancora vi sono scrittori meno raffinati stilisticamente come Soldati.
Moravia ha un rapporto curioso con l’italiano medio: da una parte lo riconosce e lo disprezza come lingua della borghesia, dall’altra lo utilizza come strumento neutro, lo europeizza trascurandone alcuni aspetti tipici.
Elsa Morante occupa tutti i livelli sopra la linea media: utilizza l’italiano come lingua a disposizione al momento per esprimersi, ignorandone tutti i tratti storici e stilistici.
Tutti questi autori in ogni caso sono organici alla classe borghese, le loro ambientazioni e i loro personaggi sono borghesi. Essi quindi possono identificarsi pienamente e porre le condizioni per un discorso indiretto libero. Se i personaggi sono popolari, il loro linguaggio è appena inferiore a quello dello scrittore.
Un caso a parte è quello di Gadda, che riesce ad identificarsi pienamente con i suoi personaggi popolari, e ne utilizza il linguaggio dialettale per fini espressivi “alti”.
Partendo dallo sperimentalismo gaddiano, un’altra corrente letteraria degli anni cinquanta puntava, piuttosto che all’espressività, a raggiungere una maggiore oggettività, a far conoscere alla nazione un mondo sociologico e psicologico sconosciuto.
Ma oggi si riconosce che i tentativi di costruire una lingua nazionale attraverso la letteratura sono destinati a fallire. Il mondo letterario oggetto di rivisitazione polemica negli anni cinquanta non esiste più, e l’operazione di contaminazione linguistica con i dialetti sembra già superata dalla diminuita importanza di questi ultimi.
Questa crisi è forse sintomatica della “fine del mandato” dello scrittore, del suo impegno sociale
Già alla fine degli anni cinquanta c’erano avvisaglie, sia nella reazione “puristica” di alcuni scrittori napoletani che nelle operazioni nostalgico-borghesi di Cassola e Bassani.
Una certa vitalità apparente sembrano avere le avanguardie, che non sono semplici riproposte di quelle primonovecentesche, per due motivi:

Le avanguardie classiche ponevano un proprio modello stabile di società in conflitto con un altro modello, altrettanto stabile. Le avanguardie dei sessanta invece si pongono contro una situazione “prefutura”, sono messianiche.
Le avanguardie classiche facevano comunque letteratura e usavano strumenti letterari. Quelle dei sessanta invece si pongono verso la letteratura da una base linguistica: vogliono ridurre a zero la lingua e i suoi valori.
Ci si trova dunque in un momento di vuoto culturale, in cui ogni autore segue il suo sentiero individuale, verso un’area particolare, linguistica o conservatrice.
Si tratta quindi di trovare le ragioni sociologiche della crisi.
Si deve notare innanzitutto che il linguaggio della critica, oggi, non dipende più dal latino, o dagli studi filosofici, ma dai linguaggi della scienza e della tecnica.
La linguistica inoltre impone l’idea del linguaggio come strumento.
Il linguaggio giornalistico si sta avviando verso una certa standardizzazione legata ad un modello comunicativo che presuppone un’opinione pubblica media di elevato tenore razionalistico e quindi anti-espressiva. L’accento sulla comunicazione elimina tutti quei tratti espressivi che verrebbero scartati dal lettore medio.
Il linguaggio televisivo è ancora più selettivo e orientato alla comunicazione, con un alto grado di normatività di grammatica e lessico che esclude ogni espressività.
Addirittura il reticolato delle frasi tipiche di un telegiornale, con la sua monotonia e ripetitività, viene già preso a modello come esempio di parlato serio, e contagia anche il linguaggio politico
Il linguaggio tecnologico della civiltà industrializzata ha preso in pratica il posto del latino nell’osmosi con l’italiano, sia nel linguaggio letterario che in quello politico.
L’intervento della tecnologia però, con l’enfasi sulla comunicazione, tende ad omologare tutti i linguaggi.
Anche il linguaggio pubblicitario, che parte espressivo, diventa monotono e comunicativo con la ripetizione ossessiva (espressività di massa).
Questa tecnicizzazione sta portando anche al superamento del dualismo italiano parlato/italiano letterario.
La lingua tecnico-scientifica non si allinea secondo la tradizione con tutte le stratificazioni precedenti, ma funge come omologatrice delle altre stratificazioni, o come modificatrice all’interno dei linguaggi.
Tutto ciò principalmente per esigenze politico-economiche. E’ infatti la nascente tecnocrazia del Nord che, a differenza della vecchia borghesia, si identifica con l’intera nazione, ed elabora un nuovo tipo di cultura e di lingua effettivamente nazionali.
Il centro di irradiazione della lingua nazionale si è spostato dopo il primo dopoguerra da Roma-Napoli alle città del nord, Torino-Milano. Questo in quanto è il nord che possiede il patrimonio linguistico tecnico-industriale. E’ la rivincita dei periferici, dell’Italia reale su quella retorica.
Il nuovo italiano avrà principalmente queste caratteristiche:

Una certa propensione alla sequenza progressiva, con una maggiore fissità dei diagrammi delle frasi e la caduta di molte allocuzioni concorrenti. In pratica un impoverimento della disponibilità di forme.
La cessazione dell’osmosi con il latino.
Il prevalere del fine comunicativo su quello espressivo. L’italiano non sarà più lingua letteraria, quindi espressiva, ma diventerà comunicativa.
I cambiamenti della società sono quindi ovviamente alla base della crisi letteraria, che sta aspettando che passi il periodo di transizione. Solo quando si sarà preso coscienza della reale rivoluzione linguistica in atto, lo scrittore potrà ritrovare la sua funzione, il suo “mandato”.
Per gli scrittori italiani la sfida sarà quella di imparare l’abc di una nuova lingua, non temendo la concorrenza del linguaggio tecnico e anzi appropriandosene.
E naturalmente il fine della lotta sarà l’espressività linguistica, che verrà a coincidere con la libertà dell’uomo rispetto alla sua meccanizzazione.





Δημοσιεύθηκε στην επιθεώρηση Rinascita στις 26 Δεκεμβρίου 1964. 
Αναδημοσιεύθηκε στο βιβλίο: Pier Paolo Pasolini, Empirismo eretico, Aldo Garzanti Editore, Milano 1972.

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