PIER PAOLO PASOLINI
AI REDATTORI DI OFFICINA
Caro
Leonetti, e Roversi, e Scalia, e Romanò e Fortini,
chi ha meno diritto di me di scrivere questi versi?
Chi ha meno di me pensato,in queste nostre annate?
Chi meno di me ha letto e di me meno sofferto?
Lieto soggetto di alienazione, servo d’una ricchezza
-buttata da avventurieri milanesi,da puttanieri napoletani-
passo come un morto tra i vivi, o un vivo tra i morti:
tradimento incerto, rimandato, disperato,
frutto di ambizioni inesistenti, di necessità non vere.
E non ne sono stato neanche pagato…
Ora sento, in me, un sapore di pioggia appena caduta,
ogni vivacità della vita ha uno sfondo di pianto:
Solo una forza confusa mi dice che un nuovo tempo
comincia per tutti e ci obbliga ad essere nuovi.
Forse -per chi ha sentito e si è dato- è l’impegno
non più a sentire e a darsi, ma a pensare e cercarsi,
se il mondo comincia a finire d’essere il mondo
in cui già suoi, siamo nati, prima creduto eterno,
poi fertile oggetto di storia: sempre riconosciuto.
Ma anche il tempo della vita è pensare, non vivere,
e poichè il pensare è ora senza metodo e verbo,
luce e confusione, prefigurazione e fine,
si sta dissolvendo nel mondo anche la pura vita.
Donchisciotteschi e duri, aggrediamo la nuova lingua
che ancora non conosciamo, che dobbiamo tentare.
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