SALVATORE QUASIMODO
IL FALSO E VERO VERDE
Tu non m’aspetti più col cuore vile
dell’orologio. Non importa se apri
o fissi lo squallore: restano ore
irte, brulle, con battito di foglie
improvvise sui vetri della tua
finestra, alta su due strade di nuvole.
Mi resta la lentezza d’un sorriso,
il cielo buio d’una veste, il velluto
colore ruggine avvolto ai capelli
e sciolto sulle spalle e quel tuo volto
affondato in un’acqua appena mossa.
Colpi di foglie ruvide di giallo,
uccelli di fuliggine. Altre foglie
ora screpolano i rami e già scattano
aggrovigliate: il falso e vero verde
dell’aprile, quel ghigno scatenato
del certo fiorire. E tu non fiorisci
non metti giorni ne sogni che salgano
dal nostro al di là, non hai più i tuoi occhi
infantili, non hai più mani tenere
per cercare il mio viso che mi sfugge?
Resta il pudore di scrivere versi
di diario o di gettare un urlo al vuoto
o nel cuore incredibile che lotta
ancora con il suo tempo scosceso.
Tu non m’aspetti più col cuore vile
dell’orologio. Non importa se apri
o fissi lo squallore: restano ore
irte, brulle, con battito di foglie
improvvise sui vetri della tua
finestra, alta su due strade di nuvole.
Mi resta la lentezza d’un sorriso,
il cielo buio d’una veste, il velluto
colore ruggine avvolto ai capelli
e sciolto sulle spalle e quel tuo volto
affondato in un’acqua appena mossa.
Colpi di foglie ruvide di giallo,
uccelli di fuliggine. Altre foglie
ora screpolano i rami e già scattano
aggrovigliate: il falso e vero verde
dell’aprile, quel ghigno scatenato
del certo fiorire. E tu non fiorisci
non metti giorni ne sogni che salgano
dal nostro al di là, non hai più i tuoi occhi
infantili, non hai più mani tenere
per cercare il mio viso che mi sfugge?
Resta il pudore di scrivere versi
di diario o di gettare un urlo al vuoto
o nel cuore incredibile che lotta
ancora con il suo tempo scosceso.
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